Testi critici

Ogni donna è un’isola

“La poesia è fuga e ricerca, bisogno e spavento; un andare e ritornare, un chiamare per fuggire; un’angoscia senza limiti e un amore esteso. (…) Amore di figlio, di amante. Amore anche di fratello. Non solo vuole ritornare alle vagheggiate origini, ma vuole, necessita di ritornarci con tutti, e potrĂ  farlo solo in compagnia, tra i pellegrini il cui volto ha visto da vicino, il cui respiro ha sentito accanto al suo, nella fatica del cammino.” (Maria Zambrano)

Ogni donna Ă¨ un’isola, un’isola che protegge e dilata, coincidente con la pura poesia. Claudia Chianese ne ha una estrema certezza e il suo non è l’indagare dello spirito di conoscenza o il procedere per immagini e visioni non intimamente e visceralmente vissute. Claudia narra di un essere autonomo, fiero nella sua bellezza, completo nella sua essenza creativa e spirituale, ambivalente nel suo essere isolato e in relazione (cit. Claudia Chianese), capace di rinascere a nuove vite. Il suo è un percorso dell’andare e ritornare, del chiamare e fuggire, dove pulsa il respiro di chi le è accanto, nella fatica del cammino, dove vibra un’angoscia senza limiti ed un amore esteso che sono linfa rigenerante e curativa.

Claudia procede per apparizioni, per frammenti – frammenti di isole – , per stralci di profumi e sordi attraversamenti, per rimembranze di acque fluide e aridi bagliori. La sua isola, nella duplice connotazione di materialitĂ  e spiritualitĂ , nella sua natura liquida che riempie ogni spazio vuoto e cavo, produce un’azione centripeta, ampliata nel tempo e nello spazio. Isola Ă¨ una dimensione incerta, e giĂ  la sua etimologia è indefinita, legata al movimento e agitazione di flutti ma anche al significato di scorrere: acqua in perenne fluire, veloce, che scorre, libera, e nello scorrere definisce limiti e contemporaneamente li supera. E’ immagine di visioni lontane, di uno stato naturale dell’insolito e del paradosso, dell’impervietĂ , di limitazioni e deprivazioni, di costrizioni e imprigionamento; isola è anche purezza, libertĂ  e tensione alla bellezza realizzabile e raggiungibile, fragile nella sua imperfezione e perfetta nella sua precarietĂ . E’ una realtĂ  che non passa mai inosservata, intima e mistica nella sua condizione interiore e capace di assumere forme e definizioni variabili in base a quello che la circonda, senza una soluzione di continuitĂ  che la differenzia, la denota e connota, senza escludere alcuna parte di essa.

L’isola è metafora dello spazio immaginario, del non conosciuto, dell’estraneitĂ ; contiene in sĂ© un’idea di bellezza che è insita nel suo tessuto interiore, nelle pieghe del suo manifestarsi vulnerabile, in balia dei venti e delle variazioni ambientali. In un attraversamento infinito, il pensiero lirico dell’isola ripete in modo ciclico la sua nascita e rinascita, toccando viscere e cielo (cit. Maria Zambrano): l’isola è l’esperienza della trascendenza, conoscibile solo attraverso il vuoto indefinibile che lascia, un atomo di silenzio istante di lacerazione. Così, ogni isola possiede una storia che parla di sangue e ferite, di nuove generazioni e rigenerazioni, araba fenice che risorge dalle sue ceneri dopo istanti di accadimenti.

Ogni donna è un’isola e ogni donna ha almeno una ferita da raccontare sul cuore o sulla pelle, come l’isola di Claudia, Pantelleria, rossa e nera di lava, disseminata di inflorescenze di ogni tipo, di soffi incandescenti che sgorgano dalle viscere e dalla spelonche, lambita dalle colorazioni – verdi, viola, blu – del mare che si infrangono nell’oscuro degli scogli, o trapassata dai laghi cristallini, dall’essenza dei pini e delle querce. Il 28 maggio 2016 un incendio doloso brucia 600 ettari a Montagna Grande. Sono tre giorni di dolore, di strazi e distruzione: il fuoco divora e trasforma rendendo la terra vicina al cielo. Tutto diventa immobile, seppellito dalla cenere in un muto silenzio, neanche il vento ha il coraggio di far udire la sua voce. L’isola ferita, solcata dai cadaveri degli alberi, coincide con il colore dell’ossidiana, del nero della luna, sospesa nelle onde ferme.

Percorrendo boschi e paesaggi, rintracciando minimi segnali e aneliti di presenze, l’artista accarezza con lo sguardo, sente la compassione, il patire con, diventa testimone di un momento di liberazione e scorge, così, i segni di una vita nuova, rigenerata dal fuoco, che emerge con la sua tensione e la sua prepotenza. Nel preciso istante in cui la morte rivela silenzi e accentua i livelli di confusione, incomprensione e disorientamento, inizia un percorso di resurrezione, rinascendo e accedendo alla vita, come afferma Jacques Derrida, a partire dal lutto che deve rimanere come spazio vuoto irrevocabile al cuore della vita stessa: allora la rinascita è ciò che sorge a partire da questo vuoto, prezioso, sapido di bellezza. Corpi e memorie attraversano lenti processi di cicatrizzazione e riparazione, attraverso un lavoro semantico di ridefinizione dei significati e delle rappresentazioni, generando una metamorfosi delle ferite e l’acquisizione di una condizione resiliente che fonda la sua base nella capacitĂ  e possibilitĂ  di condivisione: il sĂ© danneggiato si ricostruisce così nella relazione con gli altri, trasformando il sĂ© ripiegato in un sĂ© aperto. Il prodotto del dolore è allora una perla: l’ostrica, violentata da una sostanza estranea e indesiderata, per proteggere il suo corpo indifeso, reagisce rilasciando un fluido che va a ricoprire l’elemento nemico, dando vita a strati di cristalli dove si rifrange la luce. Così le ferite cicatrizzate si tramutano in percorsi luminosi, aurore che non rinnegano l’oscuritĂ  da cui provengono ma approdano in sentieri sul cominciamento del mondo. E diventano, nell’opera dell’artista, immagini di vite, chiarori di anime, occhi sulla realtĂ  aumentata dal dolore/amore, particelle vive di arbusti che si trasformano in corpi e perle, leghe di minerali plasmati in preziosi gioielli.

Ogni donna è un’isola. Ogni donna è terra e acqua, è radice e storia, è memoria e futuro, è perdono e separazione. Ogni donna è la strada del finito e dell’infinito, e, nel suo essere vuoto, accoglie e conserva, elabora e trasforma. Nel riflesso trova forza e speranza che è la vita e il nulla.

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi / questa morte che ci accompagna / dal mattino alla sera, insonne, / sorda, come un vecchio rimorso / o un vizio assurdo. I tuoi occhi / saranno una vana parola, / un grido taciuto, un silenzio. / Così li vedi ogni mattina / quando su te sola ti pieghi / nello specchio. O cara speranza, / quel giorno sapremo anche noi / che sei la vita e sei il nulla.” (Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi)

Ogni donna è un’isola
Fotografie e gioielli di Claudia Chianese
A cura di Roberta Melasecca – Interno 14 next

Dal 25 ottobre al 25 dicembre 2019

Atelier di Claudia Chianese
Via Palermo 47 – Roma

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