Testi critici

Battiti

“Il lavoro non è tanto quella apparenza d’azione con la quale la folle immaginazione mi fa mettere sottosopra il mondo, ciecamente, a causa dei miei desideri sregolati, ma l’azione vera, l’azione indiretta, quale conforme alla geometria (…). E’ con il lavoro che la ragione afferra il mondo stesso e s’impadronisce della folle immaginazione”. (Simone Weil, Riflessioni)

L’articolo 1 della Costituzione Italiana afferma e sancisce che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Il lavoro è valore costituzionale essenziale e ne è riconosciuto il carattere economico, sociale e personale. E’ il fondamento del nostro vivere civile, della realizzazione dell’individuo e della soddisfazione dei bisogni.

Lo psicologo del lavoro Silvano Del Lungo, in un recente saggio, esamina le radici e le diverse etimologie, nelle lingue della famiglia indoeuropea, della parola lavoro: ne risulta un quadro contrastante nel quale tonalitĂ  negative e positive si intrecciano e talvolta si sovrappongono. In latino labor significa fatica e deriva dalla radice lab – scivolare, perdere l’equilibrio; labourer in francese corrisponde ad arare con riferimento alla fatica e ai dolori del parto, così come l’inglese labour indica un lavoro fisico duro e faticoso, mentre in greco antico pènomai ponos corrispondono al significato di lavoro fisico e contengono l’idea della sofferenza. Molti vocaboli di radice remota, ma anche recente, delineano il lavoro nella sua accezione di pena, sofferenza e fatica; di contro, altri connettono il lavoro al suo risultato e alla sua operativitĂ : operare sia in latino e sia in italiano è relativo ad opus, il prodotto del lavoro. Tali sono anche i termini ergo in greco, werk tedesco, work inglese ed altri di origine germanica il cui senso è agire, fare funzionare.

Da tale panoramica emergono molteplici e differenti interpretazioni che legano il lavoro, non esterno all’uomo ma parte della sua personalitĂ , alle vicende sviluppatesi nel corso dei secoli, dalla rivoluzione agricola a quella industriale, e alla percezione dell’essenza della vita: il lavoro e, dunque, la fatica come redenzione o mortificazione, come valore che permette di raggiungere le mete desiderate o come azzeramento dell’individualitĂ , sono parti determinanti dell’umanesimo costruttivo, di un percorso di buio e luce, di negazioni e affermazioni che insieme tendono ad un progresso universale e personale. Matteo Rampin, nel libro Elogio della fatica, spiega che tre sono gli avversari che ogni essere umano deve affrontare: il mondo fisico, gli altri esseri umani e se stesso. E qui si innesta il ruolo nobile della fatica e del lavoro correlato ad essa: ciò che permette l’avanzamento del singolo, il prezzo da pagare quando si vogliono sviluppare i talenti.

Il progetto Battiti di Giuliana Silvestrini è una preghiera sulla fragile condizione umana, a volte incapace di sopportare la fatica del lavoro e della vita, sottomessa all’annullamento e annichilimento del corpo e dell’anima. Ma è anche un canto di riscatto e tensione, un canto di liberalizzazione e resurrezione, nel quale l’uomo realizza la propria e l’altrui umanitĂ  (cit. Karol WojtyĹ‚a). L’artista si impadronisce della folle immaginazione e la sua mente plasma una creatura pensante e pulsante, congelata nell’attimo della scelta, in quel frangente immaginifico che Simone Weil scruta negli scritti La Condizione Operaia Riflessioni. Per Weil, infatti, la fabbrica è il luogo in cui la forza piega alla costrizione, assoggettando anima e corpo e dove la stanchezza e la fatica sono fatti ordinari dell’esperire umano, ma anche il luogo di gioia e armonia dove tutti i rumori vi hanno un significato, tutti sono ritmati, e si fondono in una specie di grande respiro del lavoro comune cui inebria partecipare. La concezione del lavoro è, quindi, duplice: da una parte il lavoro coincide con la fatica ottusa, con la divisione estrema tra anima e corpo, con la mortificazione della coscienza che annienta e da cui ci si può riscattare solo attraverso l’adeguamento docile ad uno stato di necessitĂ  (Simone Weil, La Condizione Operaia); dall’altra il lavoro è MetaxĂą, ponte, chiave d’accesso al reale da cui discende il Sovrannaturale, l’apice dell’unitĂ  che coincide con la minima, indispensabile, inalienabile “fatica” (Simone Weil, Riflessioni). Il lavoro, allora, è lo strumento per recuperare spazi di libertĂ , è il lavorolucido, filtrato dal pensiero, è consapevolezza di sĂ© ed azione. Il lavoro non degrada se recupera lo spazio per l’attenzione e se fonde la funzione sociale e della relazione con la funzione trascendente dell’anima.

Battiti Ă¨ l’immagine di una figura ripiegata su ste stessa: forse lontana, immersa in una realtĂ  altra, cerca nel suo intimo energia e una nuova coscienza, e costruisce una diversa configurazione fisica e spirituale che trae in sĂ© e nel possibile sguardo verso l’altro potenza vivificatrice e generatrice. Dentro l’involucro crudo e misterioso scorrono battiti, colpi sordi di negata vita che trascendono verso mondi di valore e dignitĂ  e che si materializzano attraverso diversi codici linguistici e attraverso varie tecniche – pittoriche, scultoree, installazioni e video. Un ciclo di opere pittoriche, di bozzetti e di studi evidenziano capacitĂ  descrittiva e visionaria ed un uso poetico dei colori e preannunciano la figurazione di una scultura in terra, sabbia e paglia, materiali primordiali che profumano di essenze ancestrali e raccontano di lotte interiori, di nascondimenti e salvezze. L’esercito di figurine in terracotta, simili tra loro, disposte nella stessa fissata posizione nel corpo e nello spazio, definiscono dimensioni relazionali oggettive e soggettive, delineando attivitĂ , risorse e strumenti e lo stesso agire dell’uomo che conduce ad un percorso di liberazione. In mostra anche un’installazione realizzata con tralci di vite, metafora della fatica del lavoro e delle relazioni umane, memoria di un passato e prefigurazione di un futuro, di un nuovo umanesimo che emerge da una struttura intricata e convulsa. Completa il progetto un video, dove suoni ripetitivi e meccanici accompagnano immagini astratte, ruotanti e vibranti e dalle quali emerge una vena pulsante, vita ciclica che si rinnova ogni giorno.

“Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, oggi il fattore decisivo è l’uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza.” (Giovanni Paolo II, Centesimus Annus)

Giuliana Silvestrini
Battiti
A cura di Roberta Melasecca

Dal 22 al 27 ottobre 2019
Galleria Il Laboratorio

Via del Moro 49 – Roma

Lascia un commento