Testi critici

Metamorfosi delle forme

“Come tutte e tutti, ho dimenticato tutto. O forse no. Forse quel sapore, quell’odore, quella luce e quelle primissime immagini sono diventati il tessuto e la carne di ogni mia percezione. Forse è proprio in virtú di quell’immagine che tutto sembra esistere nel mondo. Forse è proprio quell’immagine a trasformare le cose in oggetti, colori, forme e realtà.”1

Custodito presso il Goethe und Schiller Archiv di Weimar, tra i numerosi materiali preparatori alla celebre pubblicazione Die Metamorphose der Pflanzen (La metamorfosi delle piante)di Goethe, si può scorgere, insieme a diverse raffigurazioni di botanica, anche un disegno che sembra diversificarsi dal resto del corpus di bozzetti e illustrazioni: un uomo a cavallo di un animale marino indica la via da seguire tendendo la mano e impugnando un ramo con foglie. La studiosa in Scienze Filosofiche Valeria Maggiore, nel suo volume Ernst Haeckel tra Estetica e Morfologia. Un pensiero che prende forma, associa tale figura ad un riferimento ritrovato nella lettera inviata da Goethe all’amico Friedrich Wilhelm Reimer il 1° marzo 1805, citando il passo dell’Odissea su Menelao e Proteo (Od. IV, 450), dove Proteo è assunto a simbolo della natura e Menelao della ricerca. Proteo, figlio di Oceano e della ninfa Teti, dio della fluiditĂ  e della metamorfosi, capace di mutarsi in varie specie di animali e vegetali (ma anche in acqua e fuoco), aveva la facoltĂ  di scrutare attraverso la profonditĂ  del mare e di predire il futuro a chi fosse stato in grado di catturarlo. 

La narrazione omerica, ripresa anche da Luciano di Samosata nei suoi Dialoghi marini, ci porta necessariamente al pensiero filosofico di Talete per il quale il principio di tutto è l’acqua e la terra scorre sull’acqua (del mare) come tavola levigata. Per il filosofo, astronomo e matematico di Mileto la terra ha, dunque, una dimensione di instabilitĂ  e tale visione permette di ripensare al rapporto tra terra e mare in una intersezione tra i due ambiti. Lo stesso Eraclito, quando parla espressamente di okeanos, come una realtĂ  che è divenire fluviale, ritorna alla cosmologia omerica secondo la quale Oceano non è una divinitĂ  olimpica ma è genesi del tutto e genesi degli dei, è fiume che circola e scorre senza posa. 

Il filosofo Simone Regazzoni nel suo intervento “OkĂŠanos. Filosofia del pianeta oceano” all’interno del ciclo di incontri Filosofia del mare a Palazzo Ducale di Genova nel 2022, evidenzia come esista una storia del nostro pianeta pensata a partire dall’oceano, considerando che il 70% della Terra è coperto di acqua: <<Non siamo fatti della stoffa dei sogni, come diceva Shakespeare, ma siamo fatti della stessa carne di oceano che ci scorre attraverso, una carne comune che esce da me ed entra in qualcun altro>>. Ripensare la nostra storia a partire dal mare vuol dire guardare allo spazio che ci circonda come un oceanico che scorre e la nostra posizione in questo spazio sarĂ  dunque determinata da nuove e diverse coordinate in quanto immersi in un divenire acquoreo da cui siamo attraversati, dove la vita diventa, nasce, galleggia, nuota, si trasforma, ed ogni cosa – oggetti, colori, forme e realtĂ  – è stretta in una connessione cosmica oceanica. 

In questo “nuovo” pianeta Oceano ogni essere, umano e non umano, è accadimento e metamorfosi, e, come afferma il filosofo Emanuele Coccia nella pubblicazione Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita, <<soltanto attraverso la metamorfosi abbiamo accesso a noi stessi e al resto dei corpi>>. È una metamorfosi che procede continuamente dal passato per lasciare spazio alle cose future, modifica le forme, le costruisce e le disfa, permette di scambiarsi materia, idee, assemblare sistemi e menti, obbliga a farsi autori di cambiamento dei corpi altrui, quello dei genitori e quello del mondo. E la tecnica, l’arte di costruire, – continua Coccia – è proprio quella modalitĂ  e quella forma che ogni vivente intrattiene con se stesso e che lo porta a modificare radicalmente il proprio essere e la propria identitĂ . <<La tecnica fa di se stessa il soggetto, l’oggetto e il mezzo dell’atto di trasformazione>>.2

Le opere di Giovanni Cimatti emergono dal pianeta Oceano come concrezioni morbide e voluttuose che prendono le sembianze di organismi mutanti, conchiglie, fossili, coralli, strutture geologiche, in alterazione e trasfigurazione, che conservano le tracce della spuma del mare o del percorso delle onde. Nascono da costituzioni metamorfiche e la tecnica loro impressa le conduce ad un processo inevitabile di riconoscimento e disconoscimento della propria esistenza. Ogni elemento, plasmato quale essere nel mondo, conserva la memoria della terra – dell’argilla – e diventa narrazione delle rimembranze che attraversano le ere, che si susseguono nelle generazioni, e affonda le radici delle sue essenze e dei suoi colori nelle tecniche di chi ci ha preceduto nella vita. 

In numero ben precisato, levandosi dalle acque, le diciotto sculture ceramiche si adagiano sulla battigia, disposte ed ordinate da un Proteo immaginifico che cavalca le onde e scruta nelle immensitĂ  marine. Ed una per una evocano le vicende di ieri, di animali mitologici e creature non troppo lontane dalla realtĂ : e proprio in questo frangente acquoreo si ritrovano in pensieri ed azioni, modellate e scavate nelle pieghe, convertite in nuovi corpi radicati nel tempo di noi che osserviamo da lontano. Il cielo riflette, mentre l’odore acre del sale si spalma ora come affioramenti biancastri, ora come cristalli purissimi che si solidificano al contatto con l’aria e il sole, ora come interferenze da mondi attigui che sconfinano nel verde delle varietĂ  arboree che abitano le smerigliate dune. 

Le sculture di Cimatti sorgono dalla luce, approdano sulla sabbia nera memore del passaggio dei vulcani e, nella loro consistenza, conservano intatto il profumo dei sedimenti; appaiono, alternativamente, pelli mosse da assenza di prospettiva e tessuti intrisi dalle profonditĂ  delle linee dell’orizzonte e, nel flusso transizionale, mutano aspetti e colori, riflettendo i giallastri granelli di feldspato e quarzo e i prismi verdi dei pirosseni. Su di esse l’artista traccia curve topografiche di superficie isobare che forniscono il rilievo del cielo3 e rileva le impronte di organismi primordiali studiati con il dettaglio macroscopico o misurati con la geometria frattale. 

Il paesaggista Gilles Clément nel suo libro Nuvole, una sorta di diario scritto durante un viaggio a bordo di un cargo dalla Francia al Cile, consiglia a tutti di sperimentare la traversata di una nuvola, enumerando tutto ciò che vi è possibile trovare: sembra comparire una sottile e limpida analogia, guardando le sculture in mostra, e non possiamo fare a meno di asserire ed accertare che l’esperienza dell’arte è simile all’attraversamento di una nuvola, dove

<<Possono trovarvi:

– l’aggrovigliarsi delle scale
– la continuitĂ , l’uniformitĂ 
– il disordine, l’agitazione
– la protezione, il filtro
– la serra
– l’incudine
– le impuritĂ 
– poi la pioggia, il giardino
– l’energia
– l’assenza
– lo spessore del tratto
– il nome di una pianta

E forse anche, chissĂ :

– un ammasso di dettagli
– un oggetto frattale
– una struttura matematica
– un campo analogico
– il corpo di un animale
– il velo strappato di Gaia>>.4

  1. Emanuele Coccia, Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita, p.65
  2.  Ibidem, p. 116
  3.  Gilles ClĂŠment, Nuvole, p. 31
  4.  Ibidem, p. 53

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INFO

Giovanni Cimatti
Emersioni
A cura di Roberta Melasecca
Testi critici di Luca Catò e Roberta Melasecca
Dal 30 settembre al 29 ottobre 2023
SBA – Sporting Beach Arte
Lungomare A. Vespucci 6 – Ostia Lido, Roma

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