Testi critici

Terre di Casauria – Paesaggi culturali e mnemonici

“Chi sarei stato se non avessi potuto vedere gli occhi di coloro che vissero prima di me?” (da Francofonia di Aleksandr Sokurov, 2015)

In un mare in tempesta, una nave trasporta i capolavori di Leonardo, di Caravaggio, di Rembrandt e tutti gli altri tesori custoditi nel Louvre: fugge da un’Europa in fiamme, nell’estremo tentativo di proteggere e preservare la memoria e la storia. Sokurov disegna la metafora della transitorietĂ  e della fragilitĂ  delle esperienze umane, dipinge paesaggi culturali, sistemi in perenne evoluzione disseminati da una continuitĂ  di segni, tracce, forme, assetti. 

Infatti, il termine paesaggio culturale Ă¨ stato coniato dal geografo tedesco Martin Schwind che, nel suo saggio Paesaggio culturale come spirito plasmato (Kulturlandschaft als geformter Geist) del 1964, osserva come ogni paesaggio sia il risultato della congiunzione di strati sovrapposti e successivi che si identificano con le forme prodotte nel presente, le forme prodotte nel passato ma viventi nel presente, le forme prodotte nel passato ma non piĂą viventi e quelle forme del passato visibili solo nelle loro tracce. Per Schwind il paesaggio è un’opera d’arte plasmata da tutto un popolo, è il serbatoio profondo della sua cultura e reca l’impronta del suo spirito

Ogni paesaggio, dunque, è determinato dalla stratificazione di epoche e periodi storici diversi che si intrecciano, a volte si sovrascrivono e solo apparentemente si cancellano; racconta di memorie attraverso l’evidenza di impronte e segni, le reinterpreta, ne genera di nuove, le conserva e le riattiva secondo quel fenomeno semiotico del filtraggio trattato da Umberto Eco ne Dall’albero al labirinto. Eco, inoltre, nel Trattato di Semiotica Generale, separa le impronte dai segni e tracce, specificando come l’impronta sia una memoria incarnata che diventa segno nel momento del riconoscimento (“le impronte non sono segni ma oggetti inseribili in una funzione segnica”), attivando così una narrazione complessa, una traccia-testo: “una traccia non dĂ  luogo alla semplice significazione di una unitĂ  di contenuto (un gatto, un soldato nemico, un cavallo), ma a un vero e proprio discorso (“un cavallo è passato di qui, tre giorni fa, andando in quella direzione”) e pertanto la traccia è di solito un testo”. Le tracce, autentiche o ricostruite, reinterpretate o immaginate, descrivono spazi materiali e mentali e permettono di riconoscere il paesaggio come luogo della memoria del tempo (cit. Rosario Assunto, Il Paesaggio e l’estetica). 

Salvatore Settis, nel suo intervento alla Camera dei Deputati “Diritto al paesaggio e generazioni future: Italia, Europa” durante la lezione inaugurale del concorso “Articolo 9 della Costituzione. Cittadini attivi per il paesaggio e l’ambiente” del 2015, prospetta un nuovo compito, una missione nuova per chiunque operi e gestisca i territori, i paesaggi e l’ambiente: conoscere intimamente il patrimonio culturale e paesaggistico, al fine di farlo conoscere a tutti i cittadini, in modo che ciascuno lo consideri come cosa propria, come appartenenza necessaria alla comunitĂ  di cui ciascun cittadino fa parte (e che la Costituzione chiama Nazione). In tal modo, il patrimonio culturale e il paesaggio diventano legante della comunitĂ , garanzia di cittadinanza e strumento di eguaglianza fra i cittadini, dunque di democrazia. 

Secondo questa nuova missione, chiunque intervenga, con qualsiasi strumento, sul paesaggio è chiamato a conoscerlo, a rilevare le tracce dei luoghi, a riportare alla luce sedimenti nascosti, a fare emergere memorie personali e collettive per le generazioni presenti e future, a ricostruire l’identitĂ  storico-culturale impressa sul territorio dalle popolazioni e dalla societĂ , a riconoscere caratteri e valori, sancendo, così, il “diritto al paesaggio” (come espresso dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea del Paesaggio). 

Il progetto “Terre di Casauria. Il sentiero della sostenibilità” parte, dunque, da questo assunto: il diritto al paesaggio. Mette in campo pratiche concrete di conservazione e riqualificazione con una nuova ottica con cui guardare al territorio, alla sua pianificazione e trasformazione, con cui avviare studi sulle testimonianze, sviluppare tecniche di individuazione, documentazione, restauro e rigenerazione che devono necessariamente coinvolgere le popolazioni locali e i giovani, attraverso azioni di conoscenza e di fruizione di luoghi, ambienti e manufatti. Alessandro AntonucciLia Cavo, Vanni Macchiagodena e Annalisa De Luca, nei loro giorni di residenza artistica, hanno percorso lande e boschi, costeggiato torrenti, accarezzato foglie, ascoltato il vivo rumore delle presenze, assorbito l’acre odore del bitume. Hanno seguito e registrato tracce e segni, mentre sole e vento si infiltravano nella pelle e definivano un nuovo dna acquisito. Viandanti in terre non piĂą straniere, sono ora testimoni della vita che si trasforma, dei cicli naturali e del ritmo delle stagioni, delle forme viventi, sommerse o invisibili, di quelle scomparse e delle loro tracce, per affermare una coscienza rinnovata sulla fragilitĂ  e labilitĂ  dei nostri ecosistemi. 

Alessandro Antonucci realizza tre calchi in gesso, eseguiti direttamente su ognuno dei tre territori di Tocco da Casauria, Torre de’ Passeri e Bolognano: sono fotografie e racconti geologici di una realtĂ  minima, di solito non visibile se non si alza o si abbassa lo sguardo. L’azione dell’artista è un meccanismo di conoscenza e di appropriazione di un luogo, che svela dettagli di mondi infinitesimi e nel quale confluiscono narrazioni di ere, accadimenti di fenomeni naturali, passaggi di essenze ed anime, scale di piani e dimensioni. Il calco così viene eletto ad elemento di congiunzione tra universi e storie e il sentimento – della scoperta e della responsabilitĂ - è simile a quello di Ortone quando scorge il mondo dei Chi all’interno di un granello di polvere (Horton Hears a Who! di Theodor Seuss Geisel) e si sente chiamato dal destino a proteggerne il popolo. A sacralizzare la presenza dei tre calchi, posti su piedistalli, tronchi presi in prestito dalla piena del fiume, l’artista immerge ed affonda una pietra in quel bitume che ancora esala dalle viscere della sabbia fluviale. E la dispone su altra pietra, come monito e come dispositivo di riflessione sull’utilizzo che l’uomo fa, nel corso della storia, dei materiali e delle tecnologie. L’artista, con passo rarefatto e mano leggiadra, transita come labile soffio di vento tra foglie ed arbusti, lasciando a sua volta impreviste tracce del suo andare. 

Lia Cavo, mossa da un’esigenza genetica e primordiale, procede in un viaggio a ritroso nella memoria, alla ricerca di una mutualitĂ  con il luogo e con ogni essere che lo abita. Plasma tre cocoon, dalle forme organiche, modellando reti da polli con garze gessate e completandoli con gesso alabastrino e polveri di marmo, fino a raggiungere le sembianze di volti ancestrali, che emergono dai fondi dell’inconscio. Li dispone secondo un percorso circolare, ripercorrendo mnemonicamente il tracciato cicloturistico che collega i tre comuni del territorio casauriense, e genera dinamiche di osservazione e rivelazione che congiungono tempo e spazio. Respirando aria, abbracciando alberi, ascoltando voci, l’artista compenetra il proprio essere con la terra e il cielo, avvolta dallo spirito di una mitologica Madre Terra, dea della Natura e della SpititualitĂ , fonte divina di ogni nascita e rinascita, che crea e procrea in una relazione tra organismi, azioni, energie differenti. Ogni cocoon, così, stabilisce un rapporto simbiontico con l’albero che lo ospita ed attende, inerme, offrendo protezione ed accoglienza, finchè non si generi di nuovo la vita in esso. L’opera dell’artista si trasforma in un canto lontano, eco non di semplice sopravvivenza ma di coevoluzione e crescita congiunta tra uomo e paesaggio, dove ogni entitĂ  dona e riceve e diventa parte essenziale del tessuto della vita. 

Vanni Macchiagodena costruisce un mondo alla rovescia, immerso nel folto delle vegetazione, sospeso nel limbo fragile del sistema uomo-ambiente, per portare alla luce ciò che solitamente è sommerso: una quinta realizzata con gli elementi piĂą sottili e terminali degli arbusti di orniello che si tramutano, in inversione di ruoli, in radici intrecciate e ramificate. L’artista edifica un apparato tridimensionale dove gli elementi si slanciano e si protendono fino a generare un’alcova, evitando di giungere al contatto con il suolo, in attesa di devozione e desiderio, ritratti dal timore, catturati dallo sguardo. Giunti in una dimensione a-temporale, esalano dalla terra tracce e memorie, esseri pensanti che si radicano in storie e culture, in un’estrema ed incessante ricerca di identitĂ  primordiali che narrano del susseguirsi delle stagioni, di luoghi e lasciti, di sudori e scoperte. L’artista, nell’azione del fare e costruire, svela, all’evidenza della conoscenza, le matrici di un luogo attraversato da impronte ed orme, per riscoprire l’intimo senso di appartenenza ad una comunitĂ  in eterna trasformazione. Abbandona, infine, l’opera al percorrere del tempo e all’attivitĂ  della natura che riassorbirĂ  ogni umana costruzione, lasciando un unico segno del suo passaggio, accentuato ora dalla candida coloritura, simbolo della vita che incessantemente resiste. 

Annalisa De Luca, ninfa tra i boschi, assorbe le anime e gli spiriti vaganti, si tramuta in acqua e roccia ed immagina una nuova pangea dove totale è la fusione tra esseri naturali. Dal suo mettersi a nudo traspare la volontĂ  e l’esigenza di un viaggio verso i confini del proprio io identitario, nella consapevolezza che ogni incedere è atto salvifico ed ogni raffigurazione volge alla scoperta di memorie recondite e di substrati ancestrali. Elemento di congiunzione e strumento di coesistenza è il corpo, simbolo di imperfezione e resilienza, di fortezza e incostanza: si adatta e si trasforma continuamente al minimo tocco e al semplice sospiro, rinnovata Medusa che mai pietrifica ma genera vita. Le immagini fotografiche non sono, dunque, rappresentazione di una vita esteriore ma paesaggi e topografie dell’anima che, in attimi sequenziali, descrivono forme invisibili e mutevoli, mondi altri, mete di desideri ed idilli. 

“Qualsiasi dato diventa importante se è connesso a un altro. La connessione cambia la prospettiva. Induce a pensare che ogni parvenza del mondo, ogni voce, ogni parola scritta o detta non abbia il senso che appare, ma ci parli di un Segreto.” (Umberto Eco, Il Pendolo di Foucault)

Terre di Casauria. Il sentiero della sostenibilitĂ 
Installazioni di Alessandro Antonucci, Lia Cavo, Vanni Macchiagodena
A cura di Roberta Melasecca 
Progetto promosso dai Comuni di Tocco da Casauria, Torre de’ Passeri e Bolognano
Progetto finanziato dal MIBAC
Realizzato da Il Bosso Soc Cop e da Ecomood

23 giugno 2019
Boschetto di Marano – Strada Provinciale 67 – Tocco da Casauria (PE)

Il Bosso SocietĂ   Coperativa
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