Testi critici

De rerum natura

“Osservando il cielo e la terra anche senza conoscere l’origine delle cose, posso affermarlo: il mondo non è stato creato per noi. Guarda le foreste che lo rivestono, le belve, le rocce, le paludi desolate; guarda i deserti con la loro arsura spietata e più in là le nevi che coprono tutto. No, non è stato creato per noi.” (Lucrezio, De rerum natura)

Serena Lugli sceglie, per la sua prossima mostra, un titolo apparentemente semplice, De rerum natura -La natura delle cose. Apparentemente e non semplicemente, perchè l’autore a cui Serena si ispira, Lucrezio, è una creatura misteriosa ed esclusivamente assorta in quello che lo scrittore Milo De Angelis definisce “poema cosmico” -o meglio il poema cosmico- e che il latinista Ivano Dionigi dipinge come una “cattedrale verbale di 7000 versi”. 

Serena Lugli sceglie, dunque, la complessità travestita da apparente semplicità per affrontare un tema profondamente radicato in una crescente consapevolezza e sensibilità riguardo l’ambiente e la natura, alla quale si unisce la seria preoccupazione sulle sorti del nostro pianeta, devastato dall’eccesso antropocentrico degli ultimi secoli. Serena sceglie un apparentemente semplice: Lucrezio, infatti, narra di una natura delle cose costituita da un turbinio di atomi senza tregua, assorti in un movimento incessante senza origine e senza meta. La natura di Lucrezio è una natura perturbante, allucinata ed onirica, turbolenta e traumatica, mai serena e bucolica, dove nulla raggiunge il suo scopo: dovunque tu volgi gli occhi tutto sembra muoversi in un vortice perenne. Esiste soltanto una profondità luminosa generata non da potenza divina o dall’azione dell’uomo ma da una forza sconosciuta che perennemente trasforma il reale dando vita a diversi mondi in diversi modi creati.

Serena Lugli sceglie ed è consapevole e, tacitamente, senza voler necessariamente decidere tra una natura come guida morale o come paziente morale, procede per frammenti, per atomi costitutivi, per restituire detriti minuziosi di cose e realtĂ , in un processo continuo che sforma il tutto. Imprevedibili sono i segni, impressi, stratificati, che si rivelano in dettagli dal sottofondo attraverso certosine archeologie sovrapposte. Scavando e incidendo, riempiendo e sommando, l’artista fa emergere sulla superficie substrati provenienti da fondali marini o da umidi interstizi terrosi dove riaffiorano conchiglie e foglie, coralli e arbusti ormai morti, residui di azioni indefinite che fissano nel tempo ogni accadimento materiale. 

Ogni opera è, così, il reinvenimento di un corpus di sostanze e forme, provenienti da mondi altri che, strato dopo strato, modificano la percezione sensoriale, ora intrisa della geografia del minimo e dell’invisibile. L’artista, con quell’amore che è più simile alla pietas lucreziana -la pietà del pensiero e della ragione- tratteggia cartografie, quasi alchemiche, che si perpetuano in combinazioni inesauribili: sommessamente, pronunciano inestinguibili parole appartenenti ai regni dell’umano e del non-umano; assumono le sembianze di assemblaggi di calligrafie, animate dalla potenza del movimento, e non solo su questa terra, non solo qui.

“Ho vegliato le notti stellate a comporre nuove parole.” (Lucrezio, De rerum natura)

Serena Lugli
De rerum natura

A cura di Roberta Melasecca

24 – 29 maggio 2022

Spazio Il Laboratorio – Roma


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