Testi critici

Faccebook

“E così ci incontreremo, / lasceremo, risa in sala / sette passi, sette leghe / tra di noi c’inventeremo. / E quasi non bastassero / i dolori della vita / – ci uccideremo con le parole. / Poi faremo un bell’inchino / che alla farsa porrĂ  fine. / Tutti a letto se ne andranno / divertiti da morire. (WisĹ‚awa Szymborska, Opera buffa da “Amore a prima vista”)

E’ inevitabile. La rete ormai fa parte integrante della nostra realtĂ  e non costituisce piĂą un mondo parallelo: viviamo, come afferma il giornalista Francesco Longo, in una societĂ  “aumentata”, dove non è piĂą necessaria la distinzione tra online e offline. Immersi in un sistema di narrazioni, è il nostro viso che entra in gioco. Senza corpi, miliardi di facce si susseguono vorticosamente negli schermi dei nostri cellulari. La nostra immagine – e forse con essa anche la nostra identitĂ  – è al centro dell’universo, di singoli e microscopici universi imperniati su conformazioni in continuo cambiamento, diversi, categorizzabili. 

Un recente studio condotto da Daniel PreoĹŁiuc-Pietro dell’UniversitĂ  della Pennsylvania ha esaminato 66 mila utenti su Twitter e analizzato 3.200 tweet tra i piĂą recenti di ognuno: dei 66 mila utenti ne sono stati selezionati 434, sui quali è stata condotta un’analisi psicologica piĂą approfondita attraverso il metodo “Big Five“. Mettendo in relazione i risultati dei test con i caratteri emersi dalle foto profilo, lo studio ha dimostrato che la foto in evidenza, che inseriamo nei social network, può fornire informazioni dettagliate sulla nostra persona, al punto da delineare cinque profili e cinque caratteristiche: estroversione, amicalitĂ , coscienziositĂ , instabilitĂ  emotiva, apertura mentale. E così la foto dell’estroverso è colorata, senza occhiali e decisamente giovanile; l’amichevole mostra un’immagine variopinta, ma non molto nitida, con un viso sorridente; il coscienzioso si comporta in modo pianificato, si mostra soddisfatto e felice, spesso è da solo ed appare piĂą vecchio che nella realtĂ ; il nevrotico non nasconde il carattere negativo ed inserisce spesso un oggetto anzichĂ© il proprio volto; infine chi denota apertura mentale si presenta in modo stravagante e inusuale, preferendo anche lui un oggetto.

La giornalista e psicologa polacco-americana Aleks Krotoski si chiede: â€śBut is my collection of status updates, photos, videos, blogposts and podcasts really me? It’s one expression of self, for sure. It’ s also one that I manipulate”. Lo schermo dello smartphone restituisce, dunque, secondo la Krotoski, un’immagine veritiera della propria identitĂ  ma anche facilmente manipolabile. Ed oggi due sono le correnti, naturalmente opposte, che si fronteggiano su tale questione: i social media creano una socialitĂ  reale? Interagiamo veramente con le centinaia di contatti che abbiamo online? La qualitĂ  di queste relazioni è uguale a quelle che abbiamo nel mondo “fisico”? La nostra identitĂ  sui social è autentica?

Nella realtà aumentata di Facebook, Twitter o Instagram, cerchiamo di realizzare quello che gli altri si aspettano da noi e, per poter piacere a tutti, dobbiamo rinunciare a quello che maggiormente ci caratterizza. Dunque, secondo questa prima tendenza, nei social noi non realizziamo la nostra identità: i social ci manipolano, rendendoci dipendenti dai feedback e ci allontanano da quello che siamo veramente; forzano il confine dell’identità, facendola a volte coincidere con l’immagine di essa e mettendola a disposizione di un pubblico non selezionato. La rete diviene uno spazio creativo entro cui ideare il proprio sé, alimentando le forme della simulazione, generando un personaggio o una molteplicità di personaggi e interpretandone i ruoli.

La seconda corrente mette, invece, in evidenza come non ci sia alcun motivo per non credere che le storie degli altri non siano narrazioni e descrizioni di vita autentica. Dopotutto anche nella vita reale cerchiamo, ad esempio, di apparire piĂą belli, come facciamo nei social, oppure sempre e comunque siamo soggetti al giudizio altrui. Reiterando la dimensione del cafè, le opinioni che ci scambiamo riflettono il nostro pensiero, sia in ambito reale e sia virtuale, e a volte ci uccidiamo con le parole. Cameron Marlow, sociologo in-house di Facebook, dall’elaborazione dei tracciamenti dei server, ha evidenziato come il profilo di consumo di Facebook si dimostri molto simile al quadro delle relazioni che l’individuo intrattiene real life. 

In questo ampio dibattito a cui partecipiamo tutti indistintamente e inconsciamente, Emanuela Fabozzi, partendo da un’ampia formazione accademica e da una lunga esperienza nella scultura, ceramica, incisione e scenografia, apre un’altra finestra sul suo desktop e ci fa entrare nel suo spazio di costruzione della realtĂ  e dell’identitĂ . Sollecitata dalle suggestioni dell’art brut e della reminiscenza del fumetto, l’artista dipinge 100 volti di suoi “amici” – virtuali/reali -, 100 facce che rappresentano, nella loro permanenza e fuggevolezza, le classiche tipologie di profili che popolano il web. 

Muovendo da una riflessione sul rapporto tra rete, immagine e le forme del sĂ©, le facce di Faccebook rispondono ad un preciso linguaggio decodificativo. La serie dei 100 si caratterizza per una ripetizione di stilemi: il contorno preciso e lineare, l’utilizzo di colori primari e derivati sgargianti e netti, il fondo monocromo in stile “foto-tessera”. Ogni personaggio è definito con il suo preciso carattere distintivo di gioia o tristezza, smarrimento o impertinenza, forza o alienazione, ma gli elementi che compongono il viso, a sembianza di dolci di una infanzia trascorsa, generano un ossimoro tra immagine rappresentata e carattere indentitario dell’immagine stessa: i bucaneve per gli occhi, i rigoli al posto del naso, i capelli come glassa delle torte con le colorazioni artefatte dei gelati.

Toni e dettagli disegnano, così, un mondo apparentemente giocoso, schiettamente ironico, a rappresentare le innumerevoli interfacce digitali attraverso cui agiamo, decidiamo, lavoriamo e viviamo. E il gesto dell’artista, puro e inesorabile, si declina in diversificati ludici media e tecniche – dalle tele 20Ă—20 cm, alle sculture, agli oggetti ceramici – , a mistificare la figurazione di un volto sociale che cerca, contemporaneamente, il riconoscimento e la simulazione di un io modulare, assemblabile, fedele a tutte le diverse personalitĂ  che si sviluppano. 

I 100 volti di Faccebook non sono individui noti e riconoscibili e l’artista non li delinea con la volontĂ  del ritratto o della caricatura: sono immagini definite nella loro indeterminatezza, nelle quali ognuno può identificarsi nelle fattezze, nel particolare aggiunto, nello sguardo, nella casuale coincidenza con aspetti identitari. Nella bruta consapevolezza dell’impossibilitĂ  di riuscire ad intrecciare tanti elementi altrui (cit. Remo Bodei), nella fragilitĂ  delle probabili relazioni reali e virtuali, Emanuela costruisce un caustico gioco, affollato da un popolo di ipertrofici e perfetti che, ogni sera, spenta la luce e visto l’ultimo volto, andranno a letto, divertiti da morire

O, forse, no. 

Emanuela Fabozzi
Faccebook
A cura di Roberta Melasecca

Dal 23 maggio al 30 giugno 2019

Galleria Frammenti d’Arte
Via Paola 23 – Roma

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